GIUDITTA E OLOFERNE
Artemisia Gentileschi e Caravaggio a confronto

Il mito

Giuditta e Oloferne sono i protagonisti di una delle vicende più conosciute della Bibbia cristiana cattolica: la leggenda narra di Oloferne, un generale Assiro che pone sotto assedio la città di Betulia. Ad un passo dalla resa interviene Giuditta, una ricca vedova che si presenta nel campo dei nemici e li convince di voler tradire il proprio popolo.
Oloferne si invaghisce della donna e la invita nella sua tenda dopo giorni passati a banchettare in vista della futura vittoria su Israele. A questo punto approfittando della sua ubriachezza Giuditta si impossessa della sua arma e lo colpisce, decapitandolo, ottenendo così la ritirata dell'esercito Assiro.

Giuditta con la testa di Oloferne di Giorgione, 1504
Giuditta con la testa di Oloferne di Giorgione, 1504
A partire dal XIII secolo il mito ebbe una grandissima fortuna iconografica, che si è protratta fino al XX secolo fino ad artisti contemporanei del calibro di Gustav Klimt. Questa fortuna è dovuta al soggetto rappresentato: la figura di Giuditta ha suscitato nei secoli un'enorme attrazione grazie alle sue caratteristiche ambivalenti. Giuditta è una vedova ma è anche giovane, il suo aspetto innocente cela in realtà una donna senza scrupoli capace di commettere un omicidio. Purezza e seduzione si uniscono nella creazione di un emblema di indipendenza femminile, che per secoli ha ispirato numerosi campi artistici.
I periodi che più hanno sfruttato questo tema nell'arte sono stati il Rinascimento, ed ancor più, il Barocco.
Fu soprattutto in questo secondo contesto che presero vita le opere di alcuni dei più famosi pittori dell'arte italiana.

Giuditta I di Gustav Klimt, 1901
Giuditta I di Gustav Klimt, 1901
Gli artisti


Ritratto di Caravaggio di Ottavio Leoni, 1621
Ritratto di Caravaggio di Ottavio Leoni, 1621
Michelangelo Merisi, più conosciuto come Caravaggio, è stato uno dei più grandi artisti della storia Italiana. I suoi quadri rappresentano con estrema fedeltà la realtà poiché i suoi soggetti non vengono mai edulcorati. I dipinti da lui prodotti sono immediatamente riconoscibili grazie al suo innovativo uso della luce: sono infatti caratterizzati da colori scuri ed intensi che delineano ambienti molto bui, la cui oscurità è spezzata da fasci luminosi provenienti da fonti di luce non visibili allo spettatore.
Caravaggio è spesso ricordato anche a causa degli eventi che costellarono la sua esistenza; in quanto responsabile di un omicidio dovette fuggire da Roma per evitare la condanna a morte, e passò i suoi ultimi anni spostandosi continuamente da una città all'altra. Nonostante la fama ottenuta in vita, venne dimenticato nei secoli successivi alla sua morte, per poi essere riscoperto ed ancor più ammirato nel corso del 1900.

Autoritratto come allegoria della Pittura di Artemisia Gentileschi, 1639
Autoritratto come allegoria della Pittura di Artemisia Gentileschi, 1639
Artemisia Gentileschi venne iniziata alla pittura dal padre Orazio, poiché in quanto donna non aveva accesso alle Accademie d'Arte. Influenzata dalla figura di Caravaggio, ad oggi viene annoverata fra gli artisti caravaggeschi proprio perché riprese il suo stesso uso del chiaroscuro, arrivando a livelli eccelsi ed operando soprattutto in una Roma animata culturalmente dalla Controriforma.
La vita dell'artista ha sicuramente influenzato la percezione dei contemporanei nei suoi confronti: Artemisia Gentileschi fu vittima di uno stupro e dovette anche subire un processo per dimostrare di essere parte lesa. Nonostante la dimostrazione dell'abuso subìto, la pittrice lasciò Roma e continuò la sua arte presso città come Firenze, Napoli, Venezia e persino Londra.
Oggi viene considerata un'icona femminista, ma soprattutto una dei massimi esponenti della pittura Italiana.
Le opere

Caravaggio
Giuditta e Oloferne, 1600-1602
L'opera sceglie di rappresentare il momento della morte di Oloferne; l'uomo diventa il centro del dipinto, occupando da solo metà dello spazio. Sembrerebbe inoltre che il viso del generale sia in realtà un autoritratto di Caravaggio, il quale decise di evocare qui l'intima paura che lo perseguitava: se fosse tornato a Roma dopo l'omicidio commesso sarebbe infatti stato condannato a morte tramite decapitazione.

La figura di Giuditta è qui rappresentata in modo simbolico, quasi etereo. La fanciulla pare insicura e turbata dal gesto compiuto, e stende le braccia in modo da allontanarsi il più possibile dalla sua vittima, come se stesse cercando di non sporcarsi. La posa di Giuditta è particolarmente statica e lo spettatore non riesce a percepire il movimento che porta alla decapitazione di Oloferne.
Caravaggio si concentra quindi sulla rappresentazione allegorica della vicenda andando ad evidenziarne il contenuto simbolico, a discapito di un risvolto realistico.

A fronte di tutto ciò, l'ancella che accompagna Giuditta viene ritratta come una vecchia proprio per evidenziare la giovinezza, l'innocenza e la bellezza della fanciulla.
Dal margine del dipinto la serva assiste passivamente all'atto compiuto senza intervenire, andando così ad aumentare la distanza stabilita dal formato orizzontale della tela fra le due donne e il generale.

L'espressione di Giuditta mostra tutta la sua confusione mentre compie l'atto
Il viso di Oloferne è un autoritratto di Caravaggio
Il sangue è rappresentato tramite un movimento innaturale
Le versioni dei due artisti presentano diversi punti in comune sotto il profilo stilistico, poiché Artemisia Gentileschi si formò proprio sulle opere di Caravaggio; in entrambi i casi viene privilegiato l'uso del chiaroscuro inserito in ambienti bui, che fa così risaltare la vividezza dei personaggi mostrati.
Ma se a livello iconografico il dipinto appena analizzato assume toni simbolici che portano ad una visione statica dell'evento, quello di Artemisia Gentileschi rappresenta nel modo più realistico possibile il mito creando così un'atmosfera estremamente dinamica e coinvolgente.

Artemisia Gentileschi
Giuditta che decapita Oloferne, 1620
In questa interpretazione del mito biblico i personaggi risultano molto più coinvolti, grazie all'intreccio degli arti al centro della composizione: vi è una fortissima tensione ed i tre si mescolano fra loro sviluppando l'immagine in senso verticale; viene quindi resa l'idea della pressione di peso effettuata dalle due donne per tenere fermo Oloferne durante l'atto.
La Giuditta di questo dipinto è inoltre più dinamica ed è mostrata mentre compie realisticamente l'azione, con i muscoli delle braccia che ne evidenziano lo sforzo.

Anche l'ancella partecipa qui all'azione, rendendola così più attiva ed energica; in aggiunta, viene ritratta come una giovane donna della stessa età di Giuditta.
Viene però mantenuta la distanza sociale fra le due: la serva preme con tutta sé stessa sull'uomo per limitarne i movimenti senza temere di sporcarsi. Al contrario, la sua padrona tenta di allontanarsi per evitare che gli schizzi di sangue possano imbrattare il suo bell'abito, creando così un'analogia con la versione creata da Caravaggio.

Ma è soprattutto tramite la figura del generale Assiro che Artemisia Gentileschi evoca l'orrore e la violenza della scena, tanto che alcuni storici ne hanno suggerito una lettura biografica: il volto di Giuditta sarebbe infatti un autoritratto della pittrice stessa mentre quello di Oloferne apparterrebbe ad Agostino Tassi, l'uomo che abusò di lei.
Secondo queste implicazioni il dipinto diventa quindi una catarsi per l'artista, che non edulcora in alcun modo la ferocia della vicenda.

Il viso di Giuditta è un autoritratto di Artemisia Gentileschi
Il volto di Oloferne è un ritratto di Agostino Tassi
Il sangue fluisce in modo estremamente naturale
"Non sembrano due lavoranti sul punto di sgozzare un porco?"
Altre interpretazioni

La versione più celebre dell'opera di Artemisia Gentileschi, presso le Gallerie degli Uffizi, risale in realtà al 1620.

Custodito a Firenze, 1620
Custodito a Firenze, 1620
L'opera originale è del 1612 e oggi fa parte della collezione del Museo nazionale di Capodimonte, a Napoli.

Custodito a Napoli, 1612
Custodito a Napoli, 1612
Quello di Giuditta ed Oloferne fu un tema molto caro ad Artemisia Gentileschi che lo rielaborò in più versioni nel corso della sua vita, concentrandosi in modo particolare sulla figura della protagonista del mito e della sua ancella:
Oltre ad Artemisia Gentileschi e Caravaggio furono numerosi gli artisti Italiani che nello stesso periodo si cimentarono nella rappresentazione del mito di Giuditta e Oloferne:










Fede Galizia, 1596
Fede Galizia, 1596

Elisabetta Sirani, 1658
Elisabetta Sirani, 1658

Lavinia Fontana, 1600
Lavinia Fontana, 1600

Cristofano Allori, 1612
Cristofano Allori, 1612

Jacopo Palma il Vecchio, 1528
Jacopo Palma il Vecchio, 1528

Orazio Gentileschi, 1608
Orazio Gentileschi, 1608

Giorgio Vasari, 1554
Giorgio Vasari, 1554

Michelangelo, 1508
Michelangelo, 1508

Paolo Veronese, 1580
Paolo Veronese, 1580